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Commentary

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Obama: la storia passa da qui

Federiga Bindi
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Federiga Bindi Former Brookings Expert

January 22, 2009

Sfidando il freddo siamo stati all’inaugurazione della Presidenza Obama con la mia dolce meta’ e nostro figlio – Giorgio, 3 anni – perche’ volevo che fosse presente ad un momento storico. E lo e’ stato. Alla faccia di chi stava al freddo ed al gelo da prima dell’alba, da bravi italiani siamo arrivati all’ultimo momento ed abbiamo trovato un’ottimo posto, di fronte ad uno dei mega screens grazie al quale abbiamo ben seguito l’inagurazione tra la folla.

Washington sembrava Roma durante la finale dei mondiali – non c’era nessuna in giro a parte le forze di sicurezza – ma se vi immaginate gli urli da stadio in risposta al discorso di Obama non ci siamo proprio, niente di piu’ diverso. L’evidente euforia e gioia che si accompagnavano al momento, e che ancora pervadono il paese, si sono manifestate in modo molto pacato, quasi una risposta alla compostezza del Presidente entrante. Cio’ non ha tolto che, quando Bush e’ stato annunciato in arrivo nel parterre, la folla lo ha accolto con una sonora risata.

Il discorso e’ stato fantastico – inspirational come direbbero qui – ma al tempo stesso, in ottica italiana, deprimente. Noi, un leader cosi’, non lo avremo mai, perche’ lo ammazzerebbero (politicamente si intende) sul nascere. Troppo bravo, troppo visionario, meglio una sana mediocrita’. Vien voglia di chiedere asilo politico a pensare che in Italia il dibattito sull’inaugurazione si e’ focalizzato su un fatto inesistente: l’eventuale partecipazione di Berlusconi. Il transition team aveva chiarito fin dall’inizio che trattandosi di ceremonia di stretta natura domestica nessun capo di stato e governo sarebbe stato invitato. E cosi’ e’ stato. Ergo tutto il dibattito in materia tra maggioranza e opposizione e’ stato ridicolo poiche’ basato, come spesso succede da noi, su una mistificazione dei fatti.

Nonostante alcuni picchi – ad esempio quando Obama ha menzionato “the God-given promise that all are equal, all are free, and all deserve a chance to pursue their full measure of happiness – in generale il tono del discorso e’ stato sobrio, ma al tempo stesso Obama ha saputo trasmettere un grande senso di tranquilla sicurezza (confidence). Il leit motive del discorso e’ stato il senso di responsabilita’. Responsabilita’ intesa come necessita’ di agire comportandosi da adulti. In altre parole, nonostante i toni pacati e formalmente gentili nei confronti di Bush, si e’ trattato di una sconfessione totale delle politiche condotte da quest’ultimo negli ultimi 8 anni, sia in politica interna che estera.

Cittadino della globalizzazione – americano per nascita, africano per le origini paterne, indonesiamo per esserci cresciuto e last but not least educato nelle migliori universita’ USA – Obama ha dedicato oltre un quarto del discorso alla politica estera – Clinton 2 vi aveva ad esempio dedicato solo due righe – ma l’approccio e’ stato tematico piuttosto che geografico, anche questo uno strappo con il passato. I tre temi che Obama ha specificatamente menzionato sono stati la cooperazione allo sviluppo (lotta alla poverta’), non proliferazione e disarmo nucleare ed i cambiamenti climatici. Ha poi lanciato un monito fortissimo alle forze terroristiche. A mio avviso questo e’ stato il passaggio piu’ forte del discorso quando ha detto “We will not apologize for our way of life, nor will we waver in its defense. And for those who seek to advance their aims by inducing terror and slaughtering innocents, we say to you now that our spirit is stronger and cannot be broken — you cannot outlast us, and we will defeat you”. Ma il passaggio che e’ stato piu’ applaudito di tutti, piu’ ancora di quando ha ricordato che 60 anni fa suo padre poteva essere buttato fuori da un ristorante ed lui oggi era li’ a giurare, e’ stato quando ha affermato “we are ready to lead once more”, una frase che ha mandato in giubilo sia il pubblico presente che la stampa ed i commentatori. Per gli americani recuperare il rispetto internazionale e, soprattutto, il ruolo di leadership e’ la cosa fondamentale. Mentre quanto aveva detto subito prima “la grandezza [degli USA] non e’ data, deve essere guadagnata e quindi non possiamo fare quello che vogliamo, il nostro potere da solo non basta, sono necessarie umilta’ e moderazione” non era stato preso altrettatanto molto bene ne’ dalla folla che dai commentatori (per tacere della faccia buia di Bush).

Per il resto, nessuna menzione specifica dell’Europa ed il resto del discorso si e’ sostanzialmente focalizzato sulle questioni domestiche, volando alto e ricordando piu’ volte i padri fondatori, i loro sacrifici, cosi’ come i valori e gli ideali che caratterizzano gli Stati Uniti e che torneranno a fare da guida alle policies – domestiche ed estere (ulteriore fiorettata a Bush).

A noi italiani non rimane che meditare su una considerazione di Obama traslata dai discorsi inaugurali di Kennedy e Clinton 1 “The question we ask today is not whether our government is too big or too small, but whether it works”. La palla a questo punto passa a Brunetta…